Dalla musica all’attivismo, Vergo emerge come un artista unico in Italia. Oggi che la sua partecipazione ad X Factor è un ricordo lontano — così come quella “vergogna” che ha dato lo spunto per il suo nome artistico —, con l’EP Senza Catene Vergo si libera dai pregiudizi e anche di qualche sassolino nella scarpa.
Cantautore siciliano di Villabate (PA) ma naturalizzato milanese, Giuseppe Piscitello aka Vergo ha pubblicato di recente il suo nuovo ep “Senza catene”, il suo lavoro più eclettico e a fuoco ad oggi. Sette tracce che esplorano il tema del sentirsi liberi e che raccontano, in un mix di vita vera e romanzata, storie che danno voce alla comunità queer che da sempre Vergo rappresenta, esponendosi in prima persona e cercando di decostruire lo stigma della diversità.
“Senza Catene” è un lavoro che non si può incasellare in un genere, mescola il reggaeton,all’rnb, al pop e all’elettronica ed è cantato anche in dialetto siculo.
In “Lamento D’Amante”, il primo pezzo che ha anticipato l’EP, Vergo si è preso una piccola rivincita dalla deriva omofoba della scena trap italiana con la frase “Zero Paky, sì finocchio” rispondendo per le rime al “figlio di puttana, non finocchio” del rapper Paky. Era un brano di cui non ci interessa il titolo, ma ci ricordiamo i migliaia di teenager che lo hanno cantato insieme a lui in Piazza Duomo nel 2022, invitato da Fedex al suo evento benefico “LOVE ME”…
Ma non divaghiamo.
Non solo “Senza catene” di Vergo spazia tra i generi, ma dimostra la sua cresciuta artistica come autore e produttore sempre impegnato nei diritti LGBTQIA+. “Senza catene” è un vademecum per sentirsi liberi e fieri di ciò che si è, senza mezze misure. Abbiamo parlato con lui di come spezzare queste catene.
Ciao Giuseppe, partiamo dalle catene presenti nel titolo dell’EP e che hai voluto anche nello shooting, cosa rappresentano per te?
Il concetto delle catene nasce dal mio singolo “Bomba” in cui canto «le catene si sciolgono». Da lì, questo concetto ha preso varie forme, può essere qualcosa che ti vincola ad un malessere interno dovuto a paure e pregiudizi e quindi riflesso della società.
Le catene sono anche le mie radici, il contesto in cui sono cresciuto, ma possono anche riferirsi ad un gesto: fare coming out ad esempio equivale a togliersi una grande catena di dosso.
Ci vuole del tempo per prender coscienza delle catene che abbiamo addosso e cercare di alleggerirsi, anche perché la società con i suoi pregiudizi cerca sempre di rimettertele addosso. Ti senti una persona libera oggi?
Mi sento libero, ma non totalmente, che si tratti della vita privata o del lavoro. L’industria musicale, spesso, reputa tutt’oggi sbagliato quello che sono, o magari preferisce che non se ne parli troppo – del resto sono cresciuto ascoltando artisti che non erano liberi di rivelare la propria identità.
Non è stato così semplice essere me stesso, mi sono anche trovato ad un tavolo in cui mi consigliavano di non dire che sono gay per avere un target più ampio… anche questa è una catena ideologica da cui voglio stare lontano!
Nell’EP spazi più tra i generi rispetto al passato, hai sperimentato di più. È stata una scelta fatta anche per allargare il tuo pubblico?
È stato un processo molto libero, ho scritto i brani e solo in un secondo momento mi sono accorto del loro filo conduttore, nonostante i generi diversi come “Un Cuore” che è un pezzo più elettropop o “Comunque Noi” con BigMama che è smaccatamente raggaeton.
Non avere vincoli di genere musicale è stata una mia necessità. Hai presente quando c’è quella fase da ragazzino in cui ci sono due correnti predominanti e tutti le seguono? O Vasco o Ligabue, se sei Emo non puoi ascoltare pop… Ecco, io ho sempre cercato di ascoltare un po’ di tutto: in casa, mia mamma ascoltava la Pausini e Whitney, mia sorella i Queen, mio padre Luca Turilli, mio fratello Gigi D’Agostino … e io ho assorbito tutto.
Non voglio incasellarmi nel reggaeton ma voglio diventare un artista che dove lo metti sta, a prescindere dal genere, ed è quello che ho cercato di fare in questo EP.
Mi piace pensare a delle stanze in cui ci sono la mia voce e le mie melodie e l’album è la loro casa, che poi è casa mia.
A proposito di sperimentazioni, parlami di “OMD”. So che hai lavorato al pezzo con Kimerica, giusto?
Sì, ed è stato il brano più difficile, ci abbiamo messo sette mesi a chiuderlo ma perché ha avuto una lavorazione molto lenta dove magari lo lasciavamo in stand by per un mese, poi ci rincontravamo in studio e lo rimaneggiavamo, è sicuramente il brano più elaborato del disco. Per darti un esempio, un pezzo come “Comunque Noi” è nato one shot.
Ma io e Kimerica ci perdiamo nei dettagli, ci troviamo molto bene a lavorare insieme. Non era scontato visto che veniamo da mondi molto diversi e invece siamo diventati amici: abbiamo molte cose in comune.
Al Latin Fest del 2022, a Milano, sei stato vittima di un insulto omofobo: complimenti per come l’hai gestita!
Fosse stato per me, avrei reagito in modo molto più diretto, ma davanti a me c’era un papà con in braccio una bambina e non me la sono sentita. Ricordo che la gente mi guardava con lo sguardo interrogativo aspettando una mia reazione.
E il pubblico non ha reagito?
Sono partiti i cori “scemo! scemo!” ma nessuno si è esposto direttamente. Ma dentro me è scattata una sorta di responsabilità di quel che dovevo dire, perché quell’offesa non riguardava solo me, ma tutta la comunità.
È come la citazione a Paky in “Lamento D’Amante“: se sei un artista e sai che peso puoi avere sulle persone, se inserisci la parola frocio in una tua canzone non è un caso, quindi rispondergli per me è stata una presa di posizione.
Credo che, soprattutto oggi, se non continuiamo a dire la nostra perdiamo tutto quello che abbiamo conquistato in un attimo. Tra i continui attacchi omofobi e le censure agli artisti, torniamo in un attimo agli anni Cinquanta.
Stai preparando un live?
Sì, e sto cercando di farlo come se fosse una sorta di show, vorrei non essere solo sul palco e che fosse più coreografico. Ci stiamo lavorando.
Intervista e concept: Marco Cresci
Fotografia: Simon
Styling: Alessandro Frau